Apro la finestra al mattino presto e sento l’aria gelida permeare le mie ossa.
Coprendomi le orecchie con le mani per riscaldarle, esco in giardino, dove tutto giace in una tranquillità immobile.
Cammino sul sottile strato di ghiaccio che copre il suolo e ad ogni passo, facendo scricchiolare il terreno, lascio dietro di me impronte argentate.
Nell’ombra che la cima di un albero staglia sulla casa noto una sporgenza rotonda. Seguendo questa sagoma, trovo su un ramo un uccellino con le piume gonfie, fermo come se stesse aspettando qualcosa.
Le foglie scolorite di fronte a me si muovono di tanto in tanto scosse dal vento. Toccandole percepisco una leggera ma decisa resistenza sulla punta delle dita. Non appena aumento un poco la forza, però, cadono silenziosamente, come se avessero rinunciato a qualcosa.
Mi accovaccio come per seguirle e l’umidità della terra si solleva attraverso i contorni delle foglie secche ai miei piedi, trasportando il loro profumo di appassito.
All’estremità dei rami spogli, piccoli germogli allineati puntano verso la volta celeste. Il mio respiro, bianco come la nebbia, si perde oltre i rami nell’infinita profondità del cielo.